Nella risposta all’interpello n.50 del 27 febbraio 2025, l’Agenzia delle Entrate si è occupata di definire il trattamento fiscale delle somme aggiuntive corrisposte tra i soci, sulla base di accordi autonomi rispetto all’atto di cessione delle proprie partecipazioni sociali.

L’istanza prevedeva dapprima una cessione del 51% delle quote di una società da parte dei due soci persone fisiche ad un terzo, ad un prezzo complessivo suddiviso in modo non proporzionale, con la facoltà per l’acquirente di procedere in seguito anche all’acquisto del residuo 49% delle quote, ad un prezzo ancorato a parametri economico-finanziari predefiniti.
Il cessionario non risultava però d’accordo sul fatto di corrispondere ai soci prezzi diversi per la seconda parte delle loro quote essendo le stesse detenute in egual misura, a differenza della prima tranche.
Pertanto, i soci decidevano di sottoscrivere tra loro un contratto autonomo che prevedeva la possibilità di ripartire il corrispettivo della cessione dell’ulteriore 49% delle partecipazioni in modo non proporzionale, in funzione dei risultati che ciascuno di loro avrebbe contribuito a far produrre alla società successivamente alla prima cessione.
Se dalla cessione di partecipazioni da parte di persone fisiche si realizza un capital gain, come differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo o valore di acquisto della partecipazione, aumentato degli oneri inerenti, compresa l’imposta di successione e donazione ed esclusi gli interessi passivi (art.68, c.6, del TUIR), tale plusvalenza rientra nella categoria dei redditi diversi, specificatamente nelle lett.c), c-bis) e c-ter), c. 1, art.67 del TUIR.
Tale categoria residuale dei redditi diversi ricomprende molte fattispecie eterogenee di redditi, che non hanno i requisiti tipici delle altre categorie, al fine di assoggettarli comunque a tassazione, in quanto determinano un accrescimento di ricchezza per il percipiente, derivante da una individuata fonte produttiva.
Per l’Agenzia delle Entrate però, le maggiori somme spettanti ad uno dei due soci dalla seconda cessione di partecipazioni, dovute sulla base dell’accordo intercorrente tra gli stessi, non sarebbero assimilabili a tale tipologia di capital gain; la plusvalenza, infatti, dovrebbe calcolarsi sempre e solo dal raffronto tra il corrispettivo percepito ed indicato nell’atto di cessione delle partecipazioni ed il relativo costo fiscale delle stesse, ancorché rivalutato come nel caso di specie.
Non potendo neanche ricondurle ad una donazione in assenza dello spirito di liberalità, l’Agenzia delle Entrate stabilisce che tali maggiori somme rispetto al prezzo indicato per le proprie quote nell’atto di cessione, rientrino tra i redditi diversi ex art.67, c.1, lett. l), del TUIR, ovvero redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non abituale o dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
La recentissima Ordinanza della Corte di Cassazione n.6060/2025 del 6 marzo 2025, ha ribadito il costante orientamento della stessa Corte, in merito all’impossibilità di riqualificare ai fini dell’imposta di registro come cessione d’azienda la cessione totalitaria di partecipazioni sociali, ai sensi dell’art.20 del D.P.R. n.131/86, indipendentemente se la stessa avvenga con uno o più atti collegati.
Ciò in quanto, sebbene le situazioni di chi cede l’azienda e di chi cede le partecipazioni siano sostanzialmente le stesse dal punto di vista degli effetti economici, essendo finalizzate entrambe e monetizzare il complesso dei beni aziendali, lo stesso non può dirsi sotto l’aspetto degli effetti giuridici, che sono gli unici a dover essere considerati, oltre la natura intrinseca dell’atto portato alla registrazione.
L’art.20 del D.P.R. n.131/86, come modificato dalla L. n.205/2017 ed a cui la successiva L. n. 145/2018 ha attribuito portata retroattiva, stabilisce, per l’appunto, che l’imposta di registro si applichi secondo la natura intrinseca e gli effetti giuridici (senza far riferimento agli effetti economici) dell’atto da registrare, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, in base agli elementi desumibili dall’atto stesso ed escludendo il riferimento ad elementi extratestuali o ad atti ad esso collegati.
L’Ordinanza in esame, oltre a non condividere quanto asserito dall’Agenzia delle Entrate, che pretendeva di riqualificare la cessione di partecipazioni come cessione indiretta d’azienda, trattandosi di un’unica operazione relativa alla cessione totalitaria di quote sociali, chiarisce ancora una volta che il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, debba tener conto solo degli effetti giuridici e non di quelli economici dell’atto portato alla registrazione, come esplicitato dalla norma stessa.
Pertanto, l’imposta di registro andrà sempre applicata in misura fissa.
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