Operazioni Straordinarie: contenzioso in materia di cessione d’azienda

News | pubblicato il 21-01-2025
a cura di Studio Gargani

Con la Sentenza della Cassazione n.30140, depositata in data 22 novembre 2024, la Corte ha stabilito che va revocato l’atto di cessione d’azienda, ai sensi dell’art.2901 del Cod.Civ., quando, come nel caso di cui si è occupata, tale cessione è stata posta in essere dalla società debitrice, poi fallita, facendo fuoriuscire dal suo patrimonio l’asset principale della propria attività e l’unico bene immobile, in un momento già di conclamata difficoltà economico-finanziaria ed in aggiunta, ad un corrispettivo di molto inferiore a quello reale risultante dalla perizia disposta nel procedimento penale per il reato di bancarotta fraudolenta a carico degli amministratori e sindaci della società fallita stessa, compromettendo di conseguenza le ragioni dei creditori.

Questo, nonostante la società debitrice avesse fatto presente che la cessione era motivata proprio dal bisogno di liquidità per pagare i propri debiti e che non vi sarebbe stato tale pregiudizio, in quanto, anche il cessionario risponde dei debiti del cedente anteriori all’atto di cessione stesso, se risultano dai libri contabili obbligatori ex art.2560 del Cod.Civ. La revocatoria ex art 2901 del Cod.Civ. relativa ad un atto a titolo oneroso, può essere disposta quando siano presenti contemporaneamente l’eventus damni (pregiudizio subito dal creditore, di cui il debitore sia a conoscenza) ed il consilium fraudis (consapevolezza da parte del terzo, società cessionaria, del pregiudizio stesso derivante dalla cessione).

Per la Cassazione, il primo requisito è riscontrabile non solo nel caso di un depauperamento totale del patrimonio del debitore a livello quantitativo, ma anche quando vi sia una variazione qualitativa dello stesso che renda più difficile il soddisfacimento del credito (come nella fattispecie in esame con la sostituzione dell’immobile con il denaro).

Ed il secondo, già accertato dai giudici di merito, si evinceva dal fatto che nelle due società vi era lo stesso amministratore e dalla modalità di pagamento del corrispettivo, di cui la gran parte avvenuto mediante l’accollo dei debiti del cedente e solo in piccola parte con un versamento effettivo nelle casse sociali.

Sempre in tema di cessione d’azienda la Cassazione con la Sentenza n.137 del 5 gennaio 2025, ha stabilito che in caso di cessione di un complesso di beni che mantiene la propria capacità di essere impiegato per l’esercizio di un’attività d’impresa, anche nel caso in cui al momento del trasferimento sia inutilizzato e non venga svolta tale attività da parte del cedente, si concretizza una cessione d’azienda e non di singoli beni, contrariamente a quanto sostenuto in precedenza dai giudici di merito, a conferma di quanto asserito dall’Agenzia delle Entrate.

E ciò anche se nel complesso di beni trasferiti non siano presenti voci tipiche dell’attivo di un’azienda in funzionamento, quali crediti o avviamento, proprio per via dell’inattività temporanea o della cessazione dell’azienda, come già in precedenza statuito dalla stessa Corte, pur se in riferimento all’affitto d’azienda temporaneamente sospesa.

Nel caso specifico della cessazione dell’attività da parte del cedente, la Corte riconosce la possibilità di cedere l’azienda fin quando il complesso dei beni che la compongono mantiene l’attitudine all’esercizio della stessa e non vengono disgregati, in particolare se ceduti tutti ad un unico soggetto che riprende l’attività d’impresa.

Diversamente, non vi sarebbe cessione d’azienda o di ramo d’azienda, se il complesso dei beni non fosse più destinabile all’esercizio dell’impresa, attualmente o anche potenzialmente, senza interventi straordinari ed onerosi da parte del cessionario al fine di recuperarli o ammodernarli per l’uso previsto.

Da ultimo, con la Sentenza n.834 depositata in data 9 gennaio 2025, la Cassazione ha confermato il provvedimento di sequestro relativo a due Srl in liquidazione, a fronte del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art.11 del D.Lgs n.74/2000 commesso da una terza società, che aveva provveduto a cedere i propri rami d’azienda (beni materiali, immateriali, beni mobili registrati e crediti) alle due Srl, in base al principio che, sebbene le cessioni d’azienda siano operazioni straordinarie in sé perfettamente lecite, possono essere considerate fraudolente se connotate da elementi di artificio e finalizzate a rendere più difficile la riscossione delle imposte.

La fraudolenza può riscontarsi, oltre che in atti simulati, anche quando si tratti di atti dispositivi posti in essere dal debitore che trasferiscano effettivamente i beni ad un altro soggetto, ma connotati comunque da elementi di inganno o di falsità, al fine di sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva, come già ribadito in precedenti arresti della stessa Corte.

Nel caso in esame, infatti, la società cedente era consapevole del debito accumulato verso l’Erario, che già aveva iniziato accertamenti fiscali nei suoi confronti e nonostante ciò, provvedeva a cedere i rami d’azienda contenenti quasi tutti gli elementi attivi della stessa, mantenendo per sé il debito tributario nei confronti dell’Erario, divenendo, in sostanza, una società di gestione, a differenza di quanto prevedeva il proprio oggetto sociale. Infine per la Corte, l’oggetto del sequestro doveva corrispondere al profitto derivante dal delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, pari al debito tributario della cedente, di importo definito e conosciuto dalle parti e pertanto, da ricalcolarsi rispetto a quanto stabilito in precedenza dai giudici di merito, ritenuto sproporzionato.

Alcune immagini usate in questo articolo sono state prese da https://www.capcut.com

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