La Corte di Cassazione con la Sentenze su aspetti procedurali n.30911 depositata il 27 novembre 2019, ha stabilito che in caso il contribuente voglia far valere l’omessa notifica della cartella di pagamento, deve necessariamente impugnare entro i termini previsti, l’intimazione ad adempiere notificatagli ai sensi dell’art.50 del DPR n.602/73. L’art. 19, c.3, D.Lgs.546/1992 prevede espressamente che la mancata notifica di un atto autonomamente impugnabile, adottato precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione insieme a quest’ultimo.
Gran parte delle sentenze di legittimità che si sono succedute nel corso degli anni, hanno interpretato tale articolo considerando nullo l’atto successivo in assenza della notifica dell’atto ad esso presupposto.
Ciò in base al fatto che nel processo tributario vi è una sequenza di atti autonomamente impugnabili (eventuale avviso di accertamento, cartella di pagamento, intimazione, atti esecutivi); pertanto, ed anche dopo la modifica che ha reso gli accertamenti immediatamente esecutivi facendo venir meno la fase del ruolo, proprio per l’espressa previsione dell’autonomia dei singoli atti, ognuno di essi deve essere impugnato entro i 60 gg. dalla notifica, senza che si possa impugnare il solo atto successivo o eventualmente impugnare il solo atto presupposto senza quello successivamente emesso.
Nel caso in esame in merito alla Sentenze su aspetti procedurali, quindi, non poteva giustificarsi la mancata impugnazione dell’intimazione in quanto non affetta da vizi propri, sostenendo che fosse già esistente un vizio procedurale della stessa, non essendo stato notificato l’atto ad essa presupposto.
Ma si sarebbe dovuto ricorrere contro l’intimazione entro i 60 giorni chiedendo la nullità per la mancata notifica della cartella o per vizi propri (ed in caso anche censurare “il merito” delle pretese contenute nei ruoli).
La Sentenza evidenzia inoltre, che, tale principio non vale in caso venga notificato al contribuente dopo uno degli atti autonomamente impugnabili, un altro atto solo facoltativamente impugnabile, come la comunicazione del preavviso ipotecario o del preavviso di fermo.
In tali casi, potrà comunque impugnare la comunicazione entro i 60 giorni facendo valere la mancata notifica della cartella o, eventualmente, decorsi i 60 giorni potrà ricorrere contro le cartelle non notificate per farne dichiarare l’inesistenza. L’art. 39 del D.Lgs. n.112/99 prevede che deve essere l’Agente della Riscossione, a chiamare in causa l’ente impositore per non rispondere eventualmente della lite, qualora la stessa sia originata da vizi riconducibili a quest’ultimo.
Anche la giurisprudenza si è orientata principalmente a seguito della Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.16412/2007, a tutelare il contribuente sancendo che egli può ricorrere indifferentemente nei confronti di entrambi i soggetti senza che vi sia un litisconsorzio necessario tra gli stessi e senza che possa incorrere nell’inammissibilità del ricorso in base alla scelta fatta.
Ciò vale ancor di più in seguito al D.L. n.193/2016, con cui è stata soppressa Equitalia, istituendo il nuovo soggetto Agenzia Entrate – Riscossione.
E sempre per tutelare il contribuente, altra costante giurisprudenza aveva ritenuto che l’Agente della Riscossione operasse in nome e per conto dell’ente creditore, subendone direttamente gli esiti delle vicende, anche per evitare che potesse rifiutarsi di eseguire le sentenze qualora l’Ufficio non abbia partecipato al processo.
Ed ora, infine, con la recente Sentenza n. 31476 depositata in data 3 dicembre 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche nel caso opposto, in cui a non partecipare al processo sia l’Agente della Riscossione, il giudicato fa stato anche nei suoi confronti, sempre per evitare che anch’esso possa rifiutarsi di eseguirlo, a prescindere che sia stato chiamato in causa dall’ente impositore o meno.
La Commissione Tributaria Provinciale di Genova, con ordinanza di rinvio, aveva posto all’attenzione della Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale in merito agli artt. 22 e 27 D. Lgs. n.546/1992. In base a tali articoli, il ricorrente deve costituirsi in giudizio, a pena di inammissibilità, entro 30 giorni dalla notifica del ricorso e tale inammissibilità potrà essere rilevata d’ufficio in sede di esame preliminare del ricorso stesso.
La questione era stata sollevata riscontrando un’ingiustificata disparità di trattamento del contribuente tra processo tributario e processo civile, dove la costituzione in giudizio è possibile fino alla prima udienza (art.171 c.p.c.).
La Corte Costituzionale, con l’Ordinanza n. 273 depositata il 13 dicembre 2019, ha confermato però la legittimità costituzionale degli articoli richiamati, ribadendo che nel nostro ordinamento non vige un principio costituzionale di necessaria uniformità tra il processo civile e quello tributario, evidenziando anche che la giurisdizione tributaria si caratterizza per il rapporto oggetto del giudizio riguardante l’esigenza dello Stato di ottenere le risorse necessarie per esercitare le sue funzioni, non ravvisando nel termine di 30 giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente un onere o una modalità eccessivamente gravosa, che possa ledere il proprio diritto di difesa.
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