Contenzioso: principi del contraddittorio preventivo e motivazione degli atti impositivi

News | pubblicato il 23-03-2020
a cura di Studio Gargani

La recente Sentenza n.3227/2020 dell’11 febbraio 2020 della Corte di Cassazione ha stabilito, annullando la sentenza di secondo grado, che qualora il contribuente nel corso del giudizio abbia addotto argomentazioni e prove difensive accolte dall’Ufficio e poste a base di una proposta di mediazione, poi rifiutata, tale circostanza non è comunque sufficiente per ritenere superata la “prova di resistenza” prevista per i tributi armonizzati come l’IVA e pertanto, non era possibile addivenire all’annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del ricorrente, per mancato rispetto del principio del contraddittorio endoprocedimentale o preventivo.

La tesi dell’Amministrazione Finanziaria accolta dalla Corte, si basava sul fatto che le valutazioni fatte in sede di reclamo- mediazione e le concessioni fatte al contribuente nella proposta di mediazione hanno, la sola finalità di deflazionare il contenzioso tributario, senza che le stesse conducano necessariamente ad un giudizio di merito sulla fondatezza delle ragioni del ricorrente.

La Corte ha anche aggiunto che quest’ultimo avrebbe dovuto indicare quali sarebbero state nell’eventualità del contraddittorio preventivo, le particolari motivazioni o prove diverse da quelle addotte nel ricorso che gli avrebbero consentito il superamento della prova di resistenza.

La Sentenza, oltre a contraddire alcuni precedenti della stessa Corte, meno rigidi in relazione alla suddetta prova, sempre che le argomentazioni nella fase del contraddittorio non avessero solo carattere pretestuoso (da ultimo la Sent. Cass. n.20747/2019 l’aveva ritenuta superata già solo con la produzione in giudizio delle fatture e dei registri contabili), lascia, però, ancor più perplessi soprattutto in relazione al fatto che le argomentazioni e gli elementi di prova che il contribuente avrebbe dovuto produrre nel contraddittorio, dovevano essere distinti da quelli presenti nel ricorso, che è lo strumento principale attraverso cui esercitare il diritto di difesa e dimostrare le proprie ragioni nei confronti della pretesa erariale ritenuta infondata.

Un altro principio fondamentale in ambito tributario riguarda la motivazione che necessariamente deve essere contenuta nei vari atti impositivi. La stessa, infatti, oltre a rappresentare uno degli elementi per la valutazione del potere autoritativo dell’Amministrazione Finanziaria, al fine di rispettare i principi costituzionali di coerenza ed uniformità, costituisce elemento essenziale per l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente.

Quest’ultimo, infatti, solo attraverso la piena conoscenza della pretesa impositiva e dei relativi argomenti che la sostengono, può produrre in giudizio le proprie ragioni difensive. L’art.3 della L. n. 241/90 prevede espressamente a carico dell’Ufficio, l’onere di indicare sia i presupposti di fatto alla base della propria pretesa, sia le ragioni giuridiche che insieme ai primi legittimano il proprio operato.

Pertanto, una volta instauratosi il contraddittorio tra le parti, l’Ufficio non potrà dilatare la propria pretesa, integrando in un secondo momento la motivazione o proponendo ulteriori ragioni, diverse da quelle contenute nell’atto impositivo originario, ma gli sarà consentito solo di descrivere o spiegare meglio quanto già contenuto nello stesso.

Ed il giudice dovrà dapprima effettuare un giudizio di legittimità dell’atto e successivamente giudicare sul rapporto e nel merito della pretesa in esso contenuta. Sulla base di quanto esposto, la Corte di Cassazione, con la Sent.n. 5160/2020 ha annullato la sentenza del giudice di grado inferiore proprio in quanto la pretesa erariale contenuta nell’atto impositivo era cambiata nel corso del giudizio, passando dalla ripresa a tassazione dei costi di sponsorizzazione sostenuti dal contribuente e considerati non inerenti, alla qualificazione degli stessi costi come spese di rappresentanza, deducibili solo per 1/3.

Per la Corte, l’Ufficio non può però variare i termini della contestazione iniziale o proporre nuove pretese o domande (art.57,c.1, D.Lgs. n.546/92), altrimenti verrebbe leso il diritto di difesa del contribuente, che ha motivato il proprio ricorso in base a quanto risultava dall’atto a lui notificato.

Tale principio, ritenuto da costante giurisprudenza come fondamentale anche in ambito tributario, è stato mutuato dal processo civile, dove è fatto espresso divieto di proporre nuove domande, intese come quelle che introducono un nuovo ambito di indagine per il secondo giudice rispetto a quanto esposto innanzi al primo giudice, ampliandone, pertanto, il thema decidendum ( a differenza, invece, delle mere difese, prospettate per la prima volta innanzi al giudice d’appello, senza che, però, queste determinino una modifica delle questioni esaminate dal primo giudice).

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