Con la Sentenza n.32237 emessa in data 26 agosto 2021, la Corte di Cassazione si è occupata del reato ex art.2 del D.Lgs. n. 74/2000, di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, riferito al caso in cui l’ex amministratore di una società aveva registrato le fatture inesistenti in contabilità e successivamente aveva posto in liquidazione la società stessa, nominando il figlio come liquidatore che poi aveva provveduto alla presentazione della relativa dichiarazione.
Per la Corte si ravvisava il concorso dell’ex amministratore, cosiddetto “extraneus”, nel reato posto in essere dal soggetto che successivamente ha materialmente perfezionato il reato in esame, cosiddetto “intraneus”, presentando la dichiarazione in cui erano confluite le fatture false.
L’art. 2 sopra richiamato punisce chiunque, al fine di evadere l’IVA o le imposte sui redditi, con l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente), inserisca in una delle dichiarazioni relative alle imposte stesse degli elementi passivi fittizi.
Il reato in questione è da ascriversi al soggetto attivo che per legge è deputato a presentare e sottoscrivere tali dichiarazioni a pena di nullità delle stesse; pertanto, nel caso di una società, come previsto dall’art.1 del D.Lgs. n.74/2000, all’amministratore o al liquidatore che ne hanno la rappresentanza legale, individuato sulla base delle norme civilistiche; mentre il fine ultimo di evadere o di sottrarsi al pagamento delle imposte è da riferirsi alla società o all’ente per la quale si agisce.
Tale obbligo dichiarativo non è in alcun modo delegabile, ancorché la predisposizione e la materiale trasmissione delle stesse possa essere effettuata da un incaricato, stante comunque l’obbligo per il contribuente di conservarne una copia sottoscritta.
Riguardo al momento consumativo del reato in questione e conseguentemente al soggetto a cui lo stesso debba essere imputato, si deve far riferimento all’effettiva presentazione della dichiarazione contenente gli elementi passivi fittizi supportati da false fatture o altri documenti in contabilità, mentre in caso di omessa presentazione ne risponderebbe il soggetto che le ha inserite nella contabilità.
Stando al dettato normativo, ne deriverebbe, quindi, l’assenza di responsabilità da parte dell’amministratore che ha acquisito ed inserito in contabilità le fatture false, qualora non sia più il legale rappresentante dell’ente al momento dell’effettiva presentazione della dichiarazione.
La Sentenza in oggetto, come già affermato in precedenti decisioni della stessa Corte , ribadisce la possibilità di imputare di tale reato (seppur considerandolo come “istantaneo”) anche il soggetto estraneo alla materiale presentazione e sottoscrizione della dichiarazione, qualora lo stesso abbia comunque contribuito attivamente a rendere possibile l’utilizzo del meccanismo fraudolento al nuovo legale rappresentante della società, con la consapevolezza della sua qualifica.
Con la successiva Sentenza n. 34407 depositata in data 16 settembre 2021, la Cassazione ha confermato che il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 può essere riscontrato anche nel caso della presentazione di una dichiarazione da parte di una società in accomandita semplice, tenendo conto ai fini del calcolo dell’imposta evasa del reddito complessivo imputato dalla stessa ai singoli soci. In sostanza, è necessario valutare in modo unitario l’imposta evasa, anche ai fini della verifica del superamento o meno della soglia di punibilità, nonostante il risultato dell’esercizio venga imputato direttamente ai singoli soci in base alle rispettive quote di partecipazione, in quanto obbligata a presentare la dichiarazione è la società stessa attraverso il socio accomandatario che ne ha la rappresentanza.
Il ricorso proposto dal legale rappresentante della Sas contestava un provvedimento di sequestro proprio sulla base del fatto che per determinare il superamento della soglia di punibilità si dovesse far riferimento al reddito della società in funzione della ripartizione dello stesso avvenuta tra i singoli soci, contrariamente al Tribunale che, nella fattispecie in esame riferita ad una società di persone, aveva, invece, riscontrato l’evasione d’imposta in funzione del reddito complessivo della società, ritenendo il legale rappresentante responsabile delle imposte evase
dal soggetto rappresentato.
La Corte ha però ribadito quanto già asserito in precedenza, ovvero, che il reato di dichiarazione infedele è ascrivibile a chi inserisce elementi passivi fittizi nella dichiarazione della società rendendola di conseguenza infedele, con ciò richiamando anche l’art.1. del D.Lgs. n.74/2000 nella parte in cui individua le dichiarazioni anche tra quelle presentate in veste di legale rappresentante di società o enti, con la conseguenza che il fine dell’evasione o sottrazione al pagamento delle imposte è riferibile espressamente alla stessa società o ente per conto della quale si agisce.
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