Contenzioso in materia di indagini finanziarie

News | pubblicato il 24-07-2020
a cura di Studio Gargani

Con al Sent. n.9337 del 21 maggio 2020 la Corte di Cassazione ha stabilito che un contribuente già oggetto di accertamento con cui si è provveduto a rideterminare sinteticamente il suo reddito attraverso il cosiddetto redditometro, può ricevere per lo stesso anno, un ulteriore avviso di accertamento basato su indagini finanziarie, da cui emergano elementi nuovi attraverso le movimentazioni bancarie allo stesso riconducibili, contenzioso in materia di indagini finanziarie.

Nel caso oggetto della presente sentenza, il contribuente, soccombente in secondo grado, anche davanti alla Cassazione ribadiva le proprie ragioni puntando sul fatto di aver già ricevuto per l’anno 2004 un avviso di accertamento e lamentando, pertanto, la violazione dell’art.43, c.3 del DPR n.600/1973 in tema di accertamenti integrativi, ovvero di aver subito a seguito del successivo avviso una doppia imposizione per la stessa base imponibile.

La Corte, innanzi tutto, sancisce che l’accertamento basato sul redditometro ammette anche la possibilità di un avviso integrativo, qualora lo stesso sia basato su elementi nuovi rispetto a quelli utilizzati in precedenza e sarà onere del contribuente dimostrare di essere stato inciso due volte sulla medesima manifestazione di ricchezza, cosa non avvenuta in modo puntuale nella fattispecie in esame.

Inoltre, in merito al contenzioso in materia di indagini finanziarie, nel giudizio tributario ci si deve basare sulla sola legittimità dell’atto impugnato e sui difetti propri dello stesso, senza far riferimento ad altri atti eventualmente ad esso antecedenti.

Tale Sentenza, riconoscendo la legittimità dei due distinti accertamenti in questione, basati solo su elementi formalmente diversi (il primo sulle spese sostenute ed il secondo sui movimenti bancari del contribuente), contrasta in parte con i precedenti della stessa Corte che attribuivano agli accertamenti basati sul redditometro la natura di accertamenti “globali” riferiti al reddito complessivo del contribuente e sancivano, di conseguenza, il divieto per gli accertamenti cosiddetti “a singhiozzo” (tra le ultime, Sent. Cassazione n.23685 del 1° ottobre 2018).

In conclusione, la Corte ammette la possibilità di derogare al principio dell’onnicomprensività degli accertamenti, qualora vengano posti a fondamento degli stessi presupposti diversi ed elementi nuovi (intesi non come non conosciuti o non conoscibili al tempo della prima verifica, ma come elementi non ancora acquisiti agli atti), indipendentemente da quale sia il reddito effettivo ripreso a tassazione, ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrare la doppia imposizione dello stesso.

La Corte di Cassazione si è poi occupata della vicenda riguardante il sequestro di un c/c cointestato tra l’indagato ed un terzo estraneo al fatto, in relazione all’esistenza o meno di una presunzione generale di riconducibilità di tutte le somme giacenti sul conto al soggetto indagato, per disporre su di esse il sequestro finalizzato alla confisca diretta del prezzo o profitto del reato. Per tale misura cautelare è necessario che sia verificato il nesso di derivazione dal reato del profitto stesso e l’appartenenza del bene sottoposto a sequestro al soggetto indagato e non ad altri.

La Cassazione con la Sentenza n. 19766 depositata in data 1 luglio 2020, ha stabilito che deve essere accertata non la mera disponibilità delle somme depositate sul conto corrente cointestato da parte dell’indagato, ma l’effettiva riferibilità e riconducibilità di tali somme a quest’ultimo; solo in tal caso, infatti, esse si potrebbero configurare come prezzo o profitto del reato.

Ciò a differenza di quanto stabilito in precedenti sentenze, dove, invece, si ammetteva la sequestrabilità dell’intera somma giacente sul conto cointestato, salva la prova contraria da parte del terzo che dimostrasse fosse di sua esclusiva titolarità, estendendo tale interpretazione anche al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Con la Sentenza in esame, la Corte stabilisce che deve valutarsi il momento antecedente alla costituzione della comunione sul denaro, per far in modo che il sequestro non venga disposto su beni non appartenenti all’indagato.

Non sono, pertanto, ammesse presunzioni per poter disporre tale misura finalizzata alla confisca diretta dell’intera somma, ma ne andrà prima accertata la provenienza ed anche che il conto sia effettivamente movimentato solo dall’indagato; altrimenti il sequestro potrà essere disposto solo parzialmente.

Tale conclusione si basa sui principi generali che regolano la misura cautelare in oggetto e trova conferma anche nell’ambito di quanto stabilito per il cosiddetto sequestro conservativo, che non può estendersi su beni appartenenti a terze persone, salva la prova di un’eventuale intestazione fittizia.

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