Contenzioso in materia di detrazione IVA, illegittima la ripresa a tassazione dell’IVA

News | pubblicato il 15-07-2019
a cura di Studio Gargani

Con la Sentenza n. 16010/2019 depositata il 14 giugno 2019 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittima la ripresa a tassazione dell’IVA detratta dal contribuente, sulla sola base dell’antieconomicità del costo, quando lo stesso era comunque inerente all’attività d’impresa, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione per un nuovo pronunciamento sul caso, dopo che quest’ultima aveva dato ragione all’Ufficio, basando, però la sua decisone su orientamenti superati (considerando il solo aspetto della mancata giustificazione economica del costo da cui far discendere l’indetraibilità dell’IVA).

La causa nasceva da un accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la detrazione dell’IVA relativa ad un premio corrisposto dalla contribuente ad una società cliente collegata, sul presupposto che fosse sproporzionato rispetto al volume d’affari intercorso tra le due imprese ed anche rispetto a quanto riconosciuto a titolo di premio ad altri clienti, senza peraltro mai contestare l’inesistenza o la fraudolenza dell’operazione.

La Cassazione ribadisce che un costo è da considerarsi deducibile se inerente; l’inerenza, quindi, deriva dalla stessa nozione di reddito d’impresa e per valutarla non si deve far ricorso a giudizi sull’utilità, anche solo potenziale o indiretta, o sulla congruità in termini quantitativi, in quanto il giudizio sulla stessa deve essere di carattere qualitativo (si vedano anche le Sent. Cass. n.450/2018 e n.18904/2018 e n.14941/2019).

L’inerenza del costo, intesa come l’esistenza e la natura della spesa e la destinazione del bene o del servizio all’attività d’impresa deve essere provata dal contribuente, mentre l’ufficio ai fini delle imposte sui redditi potrà esercitare il potere di accertamento qualora ritenga l’operazione posta in essere antieconomica o palesemente incongrua ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrarne la regolarità, in funzione dell’attività d’impresa; ma per quanto riguarda l’IVA, non può essere esclusa sulla base del solo giudizio di congruità, da cui discenda la perdita del diritto alla detrazione dell’imposta, a meno che, come stabilito anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in numerose sentenze, l’antieconomicità sia talmente evidente e macroscopica da indurre a ritenere non vera la stessa operazione posta in essere o comunque non inerente la destinazione del bene o del servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA .

In sostanza, il fatto che un’operazione sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore rispetto a quello normale di mercato, ai fini della detrazione dell’imposta, è da considerarsi irrilevante, se non supportata da ulteriori elementi. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata con una recentissima Sentenza in tema di diritto alla detrazione dell’IVA (causa C-273/18 del 10 luglio 2019), con la quale ha stabilito che spetta al soggetto passivo il diritto alla detrazione dell’imposta in caso di acquisto di un bene, anche se ricevuto da soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura alla fine di una serie di vendite a catena.

L’Amministrazione Finanziaria, potrebbe disconoscerne la detrazione solo qualora dimostrasse l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale di cui abbia goduto il soggetto passivo stesso o altri coinvolti nella catena delle cessioni, statuendo che in tali casi non necessariamente ed automaticamente si realizza un occultamento fraudolento del reale fornitore del bene o il compimento di una pratica abusiva.

E come già stabilito in precedenti Sentenza dalla stessa CGUE, in materia di IVA, affinché si riscontri il compimento di una pratica abusiva, è necessario che l’Amministrazione Finanziaria dimostri che le operazioni poste in essere conducano ad un vantaggio fiscale indebito e che le stesse siano effettuate al solo scopo di raggiungere tale obiettivo.

Non basta, pertanto, che il soggetto passivo sia entrato materialmente in possesso del bene da un soggetto della catena di cessioni diverso da chi effettivamente ha emesso la fattura, affinché possa ritenersi assolto l’onere da parte dell’Ufficio di comprovare la pratica abusiva e disconoscere di conseguenza il diritto alla detrazione dell’imposta; tale condotta potrebbe, infatti, essere giustificata da diverse motivazioni, come ad esempio, in caso di successive cessioni dello stesso bene potrebbe essere il primo venditore a trasportare direttamente il bene al secondo acquirente, senza che si abbia un indebito vantaggio fiscale.

Nel caso in oggetto, inoltre, trattandosi di operazione intracomunitaria la cessione sarebbe compiuta in assenza d’imposta e del relativo diritto alla detrazione.

Pertanto, se il cessionario avesse detratto un’imposta applicata indebitamente dal cedente (e dallo stesso versata), potrebbe richiedere la restituzione al fornitore che ha emesso la fattura errata, oppure in caso ciò sia impossibile o eccessivamente difficile o in caso di insolvenza del fornitore, richiederne il rimborso direttamente all’Erario.

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