Contenzioso in materia di Rimborsi di Crediti Fiscali

News | pubblicato il 23-09-2019
a cura di Studio Gargani

Molto spesso accade che in sede di redazione del bilancio finale di liquidazione di una Società venga omessa l’indicazione di eventuali crediti fiscali esistenti (generalmente crediti IVA), successivamente chiesti a rimborso nella relativa dichiarazione fiscale.

Tale richiesta di rimborso, seppur riferita ad un credito esistente, risultante dalle scritture contabili e non contestato dall’Agenzia delle Entrate, viene quasi sempre rigettata dall’Ufficio proprio per la mancata indicazione nel bilancio finale di liquidazione del soggetto estinto, sulla base di quanto stabilito dall’art.5 del D.M. 26 febbraio 1992 che ne prevede espressamente l’indicazione nel bilancio finale di liquidazione.

La Cassazione già con Sent.n.9192/2016 aveva disposto l’assoluta irrilevanza del suddetto decreto ministeriale in quanto mai convertito in legge.

Con l’ulteriore Sentenza n.8167 del 22 marzo 2019 la Corte ribadisce quanto in precedenza sancito, ovvero che il rimborso non è condizionato all’inserimento del credito nel bilancio finale di liquidazione (pur senza esaminare la questione della rilevanza o meno del decreto ministeriale in questione mai convertito in legge), considerando la valenza probatoria dei libri sociali e che la contabilità IVA, pur non avendo efficacia probatoria nei rapporti di debito e credito relativi all’esercizio dell’impresa, documenta comunque il debito o il credito fiscale, consentendone il controllo dell’esistenza e della correttezza da parte dell’Ufficio.

Sempre nel caso di Società cancellata dal Registro delle Imprese, finora, secondo costante giurisprudenza, in caso di processo contro atti impositivi (cartelle, avvisi di accertamento o avvisi di liquidazione), i soci succedono nello stesso, trattandosi di litisconsorzio processuale, come sancito da varie Sentenze della Cassazione (da ultimo si veda la n.7761/2019).

Tale principio però non è così scontato nel caso di liti da rimborso; ciò perché, anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n.175/2014 che ha previsto che la Società resti “fiscalmente” in vita per i successivi cinque anni alla richiesta di cancellazione, tale norma non sembra riguardare i crediti fiscali.

Inoltre, a far data dalla Sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 6070/2013, le mere pretese come le imposte pagate in eccesso per la mancata deduzione a titolo prudenziale di eventuali costi, si considerano rinunciate dal momento della cancellazione della Società, a differenza dei crediti certi, liquidi ed esigibili.

Con la Sentenza n. 15637 dell’11 giugno 2019, la stessa Corte di Cassazione ha stabilito che una volta estinta la Società senza che alcuni beni o diritti (come l’eventuale credito IVA) siano stati liquidati e ripartiti tra i soci, tra questi ultimi si instaura un regime di comunione indivisa o di contitolarità relativamente ai beni o ai crediti di cui sopra, escludendosi però il litisconsorzio processuale nel caso di un’azione individuale da parte di uno dei soci per la riscossione del credito e dovendosi comunque ritenere irrilevante la mancata indicazione del credito nel bilancio finale di liquidazione della Società.

In tal caso, quindi, l’iniziativa del singolo volta alla riscossione del credito della Società, avvantaggerà anche gli altri ex soci che avranno diritto alla ripartizione dello stesso proporzionalmente alle quote di partecipazione.

Con ciò risolvendo tutti i numerosi problemi di carattere processuale che il litisconsorzio necessario comporterebbe, anche se forse sarebbe più corretto che il singolo potesse agire per richiedere il rimborso solo della parte di credito ad esso spettante in base alle quote possedute, senza incassare l’intera somma da dover ripartire successivamente con gli altri.

Infine la Sentenza della Cassazione n.22646 depositata l’11 settembre 2019 esclude il litisconsorzio necessario anche tra il curatore fallimentare ed il fallito nel caso di un credito tributario maturato in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento e chiesto a rimborso dal curatore impugnando il diniego al rimborso da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Ed in effetti, mentre nel caso di un credito vantato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del soggetto fallito sorto prima della dichiarazione di fallimento o nel periodo in cui la stessa è intervenuta, l’accertamento tributario deve essere notificato sia al curatore che al fallito (in quanto anche quest’ultimo conserva la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e potrebbe avere l’interesse personale ad impugnarlo per non aggravare la sua posizione dall’eventuale emersione di passività ulteriori rispetto a quelle accertate in sede di formazione dello stato passivo), quando si tratta di un credito vantato dal fallito nei confronti dell’Ufficio, lo stesso viene acquisito dall’attivo del curatore del fallimento, che nonostante non venga equiparato ad un successore del fallito, risulterà l’unico legittimato nei rapporti patrimoniali compresi nella procedura, escludendosi la legittimazione a presentare istanza di rimborso anche da parte dei creditori, seppur essi siano in definitiva i beneficiari dell’attività liquidatoria.

Quanto sopra esposto vale anche se il credito viene riportato nella dichiarazione infrannuale relativa al periodo pre-fallimentare (dall’inizio dell’anno alla data della dichiarazione di fallimento).

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