Due recentissime Sentenze della Corte di Cassazione hanno avuto ad oggetto le operazioni infragruppo, sia in ambito interno che internazionale.
Con la Sentenza n.16948 depositata il 25 giugno 2019 la Corte era stata investita del giudizio in merito alla cessione di energia elettrica tra società appartenenti allo stesso gruppo ed aventi sede in Italia ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato a soggetti terzi; fatto che aveva condotto l’Agenzia delle Entrate ad emettere un avviso di accertamento ex art.39, c.1, DPR n. 600/1973 per l’antieconomicità dell’operazione posta in essere dalla società cedente, rideterminando di conseguenza il reddito della stessa.
Il ricorso proposto dalla società veniva accolto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che dalla Regionale, giustificando le operazioni in base a logiche ed interessi imprenditoriali di gruppo; l’Ufficio successivamente proponeva ricorso in Cassazione asserendo che il prezzo praticato nelle cessioni in oggetto, essendo distante dal valore normale ex art.9 TUIR, potesse far ricondurre le operazioni stesse alla disciplina del tranfer pricing interno.
Ma la Cassazione, confermando le due pronunce di merito, ha ribadito, come già fatto in precedenti occasioni (tra le altre si veda la Sent. n.23551/2012), che le operazioni infragruppo interne non sono soggette alla valutazione del valore normale ex art. 9 del TUIR e che l’eventuale scostamento del prezzo praticato rispetto a quello di mercato può avere solo valore indiziario di una possibile anomalia, da valutare caso per caso in funzione delle logiche complessive di gruppo, tale che non possa condurre da solo a considerare elusiva l’operazione posta in essere, ma eventualmente legittimando la contestazione della lesione del principio di libera concorrenza.
In sostanza l’Ufficio deve suffragare le proprie ragioni con ulteriori elementi oggettivi e non basarle solo sulla non condivisibilità della scelta effettuata, in quanto non rispondente ai prezzi “normali” di mercato. La Corte ritenendo quindi estraneo nel nostro ordinamento il concetto di transfer pricing interno, richiama anche quanto stabilito dal D.Lgs. n.147/2015 che ha escluso l’applicabilità della disciplina prevista dall’art.110, c.7 del TUIR in tema di prezzi di trasferimento per tali operazioni poste in essere tra soggetti residenti (interni), specificando anche che il criterio del valore normale è una regola particolare che deroga a quella generale del prezzo pattuito tra le parti, ma solo se espressamente richiamata.
Con la Sent. n.16687 del 21 giugno 2019, la Corte è stata chiamata a dirimere una controversia in merito alla congruità degli interessi percepiti da una società che aveva concesso un prestito alla propria controllante di diritto lussemburghese.
Per l’Agenzia delle Entrate il tasso applicato (media annuale euribor) non era corretto, ma si sarebbe dovuto applicare il tasso effettivo globale medio di ogni anno, ben superiore al primo, recuperando pertanto a tassazione, i maggiori importi che la società concedente avrebbe dovuto percepire. Il ricorso proposto dalla concedente ed accolto dalla CTP si basava sul presupposto che il proprio capitale fosse comunque congruo per consentire la concessione del prestito infragruppo e che proprio l’assenza di intermediari finanziari e del relativo intento speculativo giustificasse un tasso di favore, senza dover ricorrere, quindi, all’applicazione del tasso di riferimento degli operatori commerciali o finanziari, ma al massimo di quello legale, molto vicino a quello effettivamente utilizzato.
Successivamente la CTR ribaltava la sentenza dando ragione all’Ufficio al fine di evitare gli effetti discorsivi del transfer pricing che così si era realizzato. La Cassazione confermava il ragionamento della CTR, in quanto la ricorrente per raccogliere in Italia i fondi necessari a concedere il prestito, avrebbe sostenuto oneri ben superiori rispetto ai proventi ritraibili dal tasso applicato alla controllante estera; fatto che lasciava presumere, quindi, che il solo scopo del prestito fosse quello di trasferire reddito in uno Stato con una tassazione inferiore rispetto all’Italia.
Per la Corte, quindi, il caso riguardava il transfer pricing a cui applicare l’art.110,c.7, DPR n. 917/1986 (all’epoca dei fatti, art. 76, c.5, DPR n. 917/1986), che stabilisce che “i componenti reddituali derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinati a norma del comma 2 se ne deriva aumento del reddito”.
Valore normale che sulla base dell’art. 9 del TUIR si determina in base al prezzo praticato per beni o servizi analoghi, in regime di libera concorrenza e nel tempo e nel luogo, o in quello più prossimo, in cui gli stessi sono stati acquistati. Per la Cassazione, inoltre, in caso di operazioni infragruppo con società non residenti controllate o controllanti, l’Ufficio ha solo l’onere di provare l’esistenza della stessa e del corrispettivo inferiore rispetto a quello “normale” di mercato, senza dover fornire la prova dell’assenza di una valida giustificazione
economica e del risparmio d’imposta così ottenuto (presupposti dell’elusione fiscale, non richiesti quando si contesti la regola del “valore normale” nel caso del transfer pricing internazionale: si vedano anche le Sent. n.30149/2017, Sent. n.21410/2017; Sent. n.20805/2017); mentre sarà onere del contribuente dimostrare che i dati dell’Ufficio sono inattendibili e giustificare che il prezzo convenuto per l’operazione infragruppo (o anche l’assenza dello stesso) corrisponda a quello che il mercato attribuisce a tali operazioni.
Nel caso in esame, relativo ad un prestito, si sarebbe quindi dovuto applicare il saggio di interesse relativo al prezzo normale di mercato praticato mediamente nel luogo e tempo più prossimi a quello di riferimento dell’operazione, per rispettare la finalità del criterio del transfer pricing, ovvero il principio della libera concorrenza previsto dall’art.9 del Modello di Convenzione OCSE (recepito anche dal DL n.50/2017 che ha eliminato il richiamo al “valore normale”, rifacendosi solo al principio di libera concorrenza).
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