La Corte di Cassazione con la Sentenza n.6623 depositata in data 1 marzo 2022, si è occupata sotto l’aspetto dell’eventuale abuso di diritto ai sensi dall’art. 10-bis della L. n.212/2000, di un’operazione di Merger Leveraged Buy Out (MLBO), operazione straordinaria con la quale si procede all’acquisizione di una società obiettivo (target), utilizzando la capacità d’indebitamento della stessa verso una banca, garantendo la somma prestata da quest’ultima con i propri beni e procedendo successivamente alla fusione della società target con la società veicolo utilizzata per acquisirne le partecipazioni.
In generale, è sempre possibile porre in essere un’operazione fiscalmente vantaggiosa, se prevista dall’ordinamento tributario; l’abuso del diritto si configura solo quando il contribuente pone in essere una serie di operazioni anomale o tese a conseguire vantaggi fiscali indebiti, utilizzando in modo distorto le norme tributarie, ancorché non in contrasto con esse ed in assenza di ulteriori ragioni economiche che possano giustificare tali operazioni.
Le fusioni tra società, si considerano non elusive, purché siano sorrette da valide ragioni extra-fiscali non marginali, gestionali o organizzative, finalizzate al miglioramento dell’impresa, al contenimento dei costi o alla razionalizzazione della struttura operativa anche attraverso la riduzione della catena societaria e non destinate esclusivamente ad ottenere un indebito risparmio d’imposta.
Pertanto, secondo la Cassazione, nel caso delle operazioni di MLBO, esse potrebbero essere considerate abusive solo se prive di effettiva sostanza economica e poste in essere utilizzando strumenti giuridici non conformi alle logiche di mercato, o attraverso conferimenti nella società veicolo di risorse e beni non collegati all’attività della società che si vuole acquisire, così come nei casi in cui non determinino un effettivo e sostanziale cambiamento dell’assetto proprietario della società target.
L’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n.152 pubblicata il 23 marzo 2022 ha poi stabilito che non si configura l’abuso del diritto ex art. 10-bis della L. n.212/2000, nel caso di una scissione parziale non proporzionale ed asimmetrica, preceduta dal conferimento di una partecipazione di controllo, detenuta dalla scissa, in regime di realizzo controllato ai sensi dell’art.175 del TUIR, a favore di una beneficiaria di nuova costituzione.
Per l’Amministrazione Finanziaria, l’elusività/abuso del diritto nelle operazioni di scissione societaria, può ravvisarsi quando la stessa viene posta in essere allo scopo di assegnare il patrimonio della scissa ai singoli soci utilizzando società di mero godimento, in tal modo non manifestando lo scioglimento del vincolo societario.
Ma nel caso oggetto di esame, non si riscontravano indebiti vantaggi fiscali, in quanto la società scissa continuava ad esistere ed a svolgere la propria attività commerciale governata da uno dei soci e con il patrimonio rimasto in capo ad essa, mentre la beneficiaria ne avrebbe avviata un’altra, indipendente dalla prima e sotto la guida dell’altro socio.
Pertanto, non si verificano salti d’imposta o sottrazione di beni al regime d’impresa da cui discenderebbe l’abuso del diritto, ma si evidenziano valide ragioni extra-fiscali nella sequenza di tali operazioni, volte a favorire la riorganizzazione aziendale attraverso la separazione dei due patrimoni assegnati ai soci della scissa, anche in previsione del passaggio generazionale delle imprese.
Infine, non si sarebbe arrivati allo stesso risultato con il conferimento da parte dei soci delle proprie partecipazioni in due holding unipersonali; in tal modo, infatti, non ci sarebbe stata la separazione delle attività ed avrebbero continuato a gestire indirettamente l’intera partecipazione detenuta nella società scissa.
Anche con la successiva risposta all’interpello n.156 pubblicata il 25 marzo 2022, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che non configura abuso del diritto ex art. 10-bis della L. n.212/2000, l’operazione di cessione di partecipazioni rivalutate a favore degli ex dipendenti della società ad un prezzo prefissato, che verrà da essi pagato in dieci anni sulla base dei dividendi maturati sulla quota di partecipazione ceduta, al netto della ritenuta del 26{c6f1e3cbbf388f39af87624e7ab33d42cc5a4ced45b8f171171c043a5d28b876}; inoltre, trascorsi i dieci anni, nulla più sarebbe dovuto anche se il corrispettivo pagato fosse inferiore a quanto stabilito.
In tal caso, l’effettivo prezzo di vendita e la corretta determinazione della plusvalenza si conoscerà solo al termine dei dieci anni e l’esito complessivo dell’operazione dipenderà, quindi, dall’andamento economico della società (non potendosi, perciò, neanche parlare di “negozio misto con donazione”, dove oltre alla volontà di conferire un vantaggio patrimoniale ad altri, ci deve essere la consapevolezza da parte del cedente che il corrispettivo è insufficiente rispetto al valore del bene ceduto).
Per l’Agenzia delle Entrate, oltre ad essere presenti valide ragioni extra-fiscali, nel caso specifico non si realizza un vantaggio fiscale indebito con la rivalutazione del costo fiscale della partecipazione, dato che i dividendi utilizzati in pagamento di quest’ultima, sconteranno comunque la ritenuta del 26{c6f1e3cbbf388f39af87624e7ab33d42cc5a4ced45b8f171171c043a5d28b876}, nella stessa misura prevista in caso di distribuzione ordinaria agli acquirenti.
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