Operazioni soggettivamente inesistenti: ulteriori chiarimenti

News | pubblicato il 11-02-2019
a cura di Studio Gargani

Le fatture per “operazioni soggettivamente inesistenti”, a differenza di quelle per “operazioni oggettivamente inesistenti” (da considerarsi come mai effettuate), sono quelle che si riferiscono ad operazioni realmente poste in essere, ma tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati nel documento.

Questo comporta che il costo sia deducibile perché effettivamente sostenuto, se inerente all’attività dell’impresa, mentre l’IVA viene considerata indetraibile, a meno che il contribuente/cessionario non dimostri la propria buona fede, ovvero l’assoluta estraneità alla frode posta in essere dal fornitore/cedente (mentre per le operazioni oggettivamente inesistenti, oltre alla mancata detraibilità dell’IVA vi è anche l’indeducibilità del relativo costo).

La Sentenza della Corte di Cassazione n.2405 del 29 gennaio 2019, ha ribadito che l’onere probatorio al fine di contestare l’inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione Finanziaria, la quale, non solo dovrà dimostrare la fittizietà del fornitore/cedente, ma anche la consapevolezza da parte del contribuente/cessionario che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

E questo anche attraverso l’utilizzo di presunzioni basate su elementi oggettivi specifici, che comprovino che lo stesso era a conoscenza (o avrebbe dovuto esserlo utilizzando l’ordinaria diligenza), di esser parte di una frode e della sostanziale inesistenza dell’altro contraente. Sarà poi lo stesso contribuente/cessionario che dovrà fornire la prova contraria, ovvero di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, secondo ragionevolezza e proporzionalità, in base al caso concreto.

Proprio in riferimento ai mezzi di prova a discarico del cessionario, la Guardia di Finanza in occasione di una risposta fornita durante Telefisco 2019, dopo aver avvalorato i principi sopra esposti, ha confermato che il contribuente/cessionario al fine di dimostrare la propria buona fede (in special modo in un contesto di transazioni avvenute via internet), può utilizzare e-mail,fax o lettere a testimonianza che i rapporti commerciali sono stati intrattenuti direttamente con l’impresa interposta o con soggetti alla stessa riconducibili, nonché di aver preso tutte le precauzioni possibili anche attraverso l’esibizione della documentazione comprovante l’iscrizione del fornitore al Registro delle Imprese tenuto dalla Camera di Commercio (ad esempio attraverso una visura antecedente all’operazione), da cui sia possibile evincere l’effettiva esistenza ed operatività dello stesso o la qualifica e quindi la riconducibilità all’impresa indicata in fattura, del soggetto con cui ha intrattenuto i rapporti commerciali.

Altro principio fondamentale confermato dalla Guardia di Finanza è quello che non può essere addossato un dovere di indagine al contribuente/cessionario che sostituisca chi tali controlli è deputato a svolgere (l’Amministrazione Finanziaria), concetto già esposto anche nel documento del 15 giugno 2015 scaturito dal confronto tra il Comitato Scientifico della Fondazione Nazionale Commercialisti e la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza.

Recentemente poi la Corte di Cassazione, nelle Sentenze n.607/2018 e n.10001/2018, aveva affermato che l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione Finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, per comprovare la consapevolezza del cessionario dell’inesistenza del cedente, poteva dirsi assolto con la dimostrazione che quest’ultimo fosse privo della dotazione di personale e di mezzi adeguati alla prestazione fatturata.

Così come nella successiva Sentenza n.29322/2018 aveva stabilito che fosse indicativo di operazioni inesistenti un codice attività del fornitore dichiarato in sede di attribuzione della partita IVA, del tutto estraneo all’attività posta in essere tra cedente e cessionario (senza, però, specificare se oggettivamente o soggettivamente inesistenti).

Infine con la Sentenza n.2853 depositata il 31 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’oggetto della contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria è il disconoscimento della detrazione IVA da parte del cessionario, per la sua partecipazione all’evasione posta in essere dal cedente ai sensi dell’art.19 D.P.R. n.633/1972 e non la solidarietà per l’omesso versamento dell’IVA da parte del cedente stesso ai sensi dell’art.60-bis, c.2, del D.P.R. n.633/1972.

Mentre, infatti, la responsabilità solidale tra cedente e cessionario prevista dall’art.60-bis si applica nel caso di un’operazione effettivamente avvenuta tra i soggetti (sebbene a prezzi inferiori al valore normale), consente al cessionario di esercitare la detrazione dell’imposta, nel caso delle operazioni soggettivamente inesistenti, non essendoci la relazione tra il vero cedente ed il cessionario, quest’ultimo non sarà legittimato alla detrazione dell’imposta, proprio per via dell’interposizione fittizia tra l’effettivo cedente e colui che emette la fattura (il quale non può essere considerato soggetto passivo IVA, venendo, quindi, a mancare uno dei presupposti essenziali per poter esercitare la detrazione dell’imposta).

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