La Corte di Cassazione nella Sentenza n. 40560/2021 depositata in data 10 novembre 2021 si è nuovamente occupata del tema sempre più frequente ed attuale delle operazioni soggettivamente inesistenti.
Innanzi tutto, va ricordato che il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti si può realizzare sia nel caso in cui l’operazione documentata dalla fattura non sia mai stata effettivamente posta in essere (in tal caso si parlerà di “inesistenza oggettiva”), oppure quando, seppur l’operazione sia stata compiuta ed il costo effettivamente sostenuto, la fattura poi utilizzata in dichiarazione, riporti un soggetto diverso da quello che l’ha eseguita nella realtà (ed in tal caso si parlerà per l’appunto di “inesistenza soggettiva”).
Nel caso in esame, la rilevanza penale dell’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti nella dichiarazione, deriva dal fatto che, così operando, si gettano le basi per un rimborso o detrazione sostanzialmente indebito dell’Iva.
Per giurisprudenza costante della Corte, infatti, nell’ambito delle cosiddette “frodi carosello”, l’obiettivo primario è quello di evasione dell’Iva che si realizza indicando un soggetto diverso da chi materialmente ha eseguito la prestazione (con l’aliquota e l’entità dell’imposta che può dipendere proprio dal diverso cedente fittizio o non operativo) e conseguentemente il relativo pagamento dell’Iva a quest’ultimo, comporta il venir meno del principio di neutralità della stessa e pertanto, legittima l’Amministrazione Finanziaria al recupero dell’imposta.
Nella Sentenza della Corte, viene ribadito che la partecipazione del cessionario alla frode posta in essere dal cedente deve essere comprovata dall’Amministrazione Finanziaria dimostrando la sua consapevolezza dell’interposizione fittizia della società “cartiera”, ammettendo comunque la prova contraria da parte dello stesso di aver agito in modo diligente, verificandone l’operatività effettiva attraverso elementi sostanziali quali l’esistenza di immobili in cui veniva esercitata l’attività, la presenza di dipendenti, l’eventuale regolarità contributiva e fiscale attraverso il DURC, non bastando la semplice verifica formale dell’iscrizione alla Camera di Commercio o il deposito dei bilanci degli anni precedenti.
Anche la successiva Sentenza della Cassazione n. 40690/2021, pubblicata il 20 dicembre 2021, ha riguardato le operazioni soggettivamente inesistenti, in riferimento a rilevanti acquisti di telefoni cellulari posti in essere da una società, quando ancora non era previsto il meccanismo del reverse charge nelle fasi della commercializzazione di tali prodotti antecedenti la vendita al dettaglio.
La Sentenza ha analizzato principalmente i controlli che l’acquirente in buona fede deve porre in essere, utilizzando l’ordinaria diligenza derivante dalla propria professionalità e nei limiti della ragionevolezza in riferimento al caso specifico, per superare le contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria di essere a conoscenza di partecipare alla frode compiuta dal cedente con conseguente indetraibilità dell’IVA sugli acquisti effettuati.
Per l’Agenzia delle Entrate, su cui grava l’onere di tale prova anche attraverso presunzioni, purché basate su elementi oggettivi, infatti, non sarebbero bastate le verifiche fatte da parte del cessionario sull’effettiva esistenza dei fornitori basate sulle visure camerali, sui bilanci depositati e sulle fatture, in quanto considerati solo elementi formali, mentre vi erano altri elementi sostanziali, tra i quali l’acquisto a prezzi inferiori rispetto a quelli pagati dai cedenti ai propri fornitori, che facevano propendere per la consapevolezza di partecipare all’evasione posta in essere da questi ultimi.
Costante giurisprudenza della Corte già aveva stabilito non fossero sufficienti dei semplici riscontri sulle scritture contabili del fornitore, o le prove degli avvenuti pagamenti delle fatture, in mancanza di una verifica più puntuale relativa alla dotazione minima di personale o beni strumentali per svolgere l’attività economica da parte del cedente.
Per tali ragioni la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, riconoscendo che il giudice di merito non aveva tenuto in debito conto gli elementi indiziari che attestavano l’assenza di organizzazione del fornitore, ritenendo, la diligenza da parte dell’acquirente, non congrua in relazione alla complessità della fattispecie in esame, sulla base dei semplici controlli formali da esso effettuati.
Da ricordare, infine, che anche la Corte di Giustizia dell’UE ha ritenuto possibile escludere la detraibilità dell’IVA per le operazioni soggettivamente inesistenti, qualora il fornitore non sia l’effettivo soggetto passivo, oltre che nei casi in cui l’IVA è pagata in rivalsa (causa C-154/20), anche quando gli eventuali acquisti siano soggetti alla regola del reverse charge, che comunque escluderebbe perdite di gettito per l’Erario (causa C-281/20).
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