Contenzioso in materia di onere della prova

News | pubblicato il 12-12-2022
a cura di Studio Gargani

Con la Sentenza della Cassazione n. 21306 del 5 luglio 2022, la Corte si è occupata di un caso in cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita deduzione di costi e detrazione dell’IVA per vari anni nei confronti di una società, sul presupposto della partecipazione della stessa a frodi carosello.

La Cassazione ha innanzi tutto ribadito il costante orientamento che vede, in materia di IVA, nel caso si tratti di operazioni “soggettivamente inesistenti”, posto a carico dell’Amministrazione Finanziaria , l’onere di provare, la consapevolezza da parte del destinatario delle fatture, di esser parte di un’operazione finalizzata all’evasione dell’imposta, anche in via presuntiva, purché basata su elementi oggettivi specifici.

In sostanza che il contribuente con l’ordinaria diligenza derivante dall’attività svolta, potesse essere a conoscenza dell’inesistenza sostanziale dell’altro contraente; spettando poi al ricorrente dimostrare attraverso la prova contraria, di aver utilizzato la massima diligenza richiesta ad un soggetto accorto, nel porre in essere le operazioni contestate, in base a criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

La Corte, nel caso in esame, ha cassato la Sentenza della CTR, che aveva accolto l’appello del contribuente, riconoscendo assolto l’onere posto a carico dell’Agenzia delle Entrate, in quanto le vendite erano effettuate da società riconosciute come “cartiere”, prive di una sede reale ed a prezzi inferiori a quelli di mercato, in assenza della prova contraria fornita dalla società.

Successivamente in un caso analogo, relativo all’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, richiamando gli stessi principi di cui sopra, ha, invece, accolto il ricorso del contribuente, non avendo l’Ufficio correttamente dimostrato la fittizietà del fornitore, né la consapevolezza da parte del primo di partecipare ad una frode con l’utilizzo delle fatture contestate.

Con tale Ordinanza n.26477/2022 pubblicata in data 8 settembre 2022, la Corte ha, inoltre, ribadito che si è in presenza di vizio di motivazione o di una motivazione meramente apparente della sentenza emessa da un giudice tributario, quando la CTR non indichi gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento o lo stesso sia derivato da un’analisi non approfondita del caso in esame, che impedisca di identificare le ragioni poste alla base della decisione, al fine di garantire il pieno diritto di difesa del contribuente.

In merito ad un accertamento sintetico del maggior reddito riferibile ad un determinato anno d’imposta si è espressa la Cassazione con l’Ordinanza n.21814 dell’11 luglio 2022, riconoscendo che, per il regolare contraddittorio processuale e per la tutela della parità delle parti in causa, all’inversione dell’onere della prova posto a carico del contribuente per giustificare il maggior reddito attribuitogli dall’Agenzia delle Entrate, debba necessariamente far seguito, se adempiuto, un esame analitico e specifico da parte dell’organo giudicante, che non si limiti a meri giudizi formali o superficiali.

La vicenda nasceva da un accertamento con la determinazione sintetica del reddito basato sui coefficienti presuntivi (redditometro); in tale fattispecie il contribuente è ammesso, attraverso la prova contraria, a fornire documenti che comprovino che avesse a disposizione altri redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta che fossero sufficienti a sostenere le spese effettuate e contestate dall’Ufficio, ancorché non debba dimostrarne l’effettivo utilizzo per le stesse.

La Corte, nello specifico caso, ha dato ragione al contribuente, che aveva comprovato la disponibilità di ulteriori somme derivanti dal riscatto di una polizza e dal rimborso di finanziamenti soci fatti a favore di due società in anni precedenti, sulla base dell’omessa valutazione di tali prove da parte della CTR.

Con la successiva Sentenza della III Sez.Penale n.32506, pubblicata in data 5 settembre 2022, la Cassazione si è occupata del reato previsto dall’art.2 del D.Lgs. n.74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), relativamente alla presunta emissione di fatture per operazioni inesistenti nell’ambito di un gruppo di società, al fine di realizzare un indebito risparmio d’imposta.

Il Tribunale, accoglieva la tesi del GIP che contestava la fittizietà delle operazioni poste in essere dalla società ricorrente, basandosi sulla posizione di controllo assunta dalla stessa nei confronti delle altre società appartenenti al gruppo di imprese, nonostante la difesa avesse dimostrato che le controllate fossero soggetti reali, dotate di autonomia patrimoniale e di una propria struttura effettiva e che vi fosse anche l’esistenza di un contratto di rete, a legittimare i rapporti intercorrenti tra le società.

La Cassazione, ha però, annullato l’Ordinanza del Tribunale, affermando che l’esistenza dell’eterodirezione non è sufficiente da sola a confermare quanto asserito dall’accusa in merito all’inesistenza oggettiva o soggettiva delle operazioni tra le società del gruppo, dovendosi, comunque, provare che le stesse non siano state proprio poste in essere, o quanto meno effettuate da soggetti diversi dall’emittente.

L’Ordinanza della Cassazione n.29030/2022, pubblicata in data 6 ottobre 2022, oltre a confermare l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo in caso di accertamenti solo per i tributi armonizzati come l’IVA e non per le imposte dirette (pena l’invalidità dell’atto emesso dall’Ufficio se il contribuente ha dimostrato le proprie ragioni, non pretestuose, che avrebbe potuto far valere in tale sede), ha analizzato la questione dell’antieconomicità delle operazioni poste in essere, al fine di verificare l’assolvimento dell’onere della prova.

Già in precedenza la Corte, sia per l’IVA, sia per le imposte dirette, aveva riconosciuto la possibilità per l’Ufficio di procedere ad un accertamento analitico induttivo attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con le quali rideterminare il reddito del contribuente, seppur in presenza di una contabilità “formalmente corretta”, ma complessivamente ritenuta inattendibile, sulla base dell’antieconomicità o dell’anomalia del comportamento tenuto dallo stesso.

Nella fattispecie esaminata, ha ribadito che anche la congruità agli Studi di Settore, non impedisce l’accertamento da parte dell’Ufficio, essendo questi dei semplici strumenti statistici per la ricostruzione della redditività dell’impresa.

Infine, sempre in merito all’onere della prova in carico all’ente impositore, va menzionata la recentissima Sent. della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di frodi IVA, emessa in data 1 dicembre 2022 e relativa alla causa C-512/21; ciò, in particolare, dopo la modifica dell’art.7,c.5-bis del D.Lgs. n.546/1992, ad opera della Legge 130/2022, che espressamente stabilisce che va annullato l’accertamento se la prova fornita dall’Ufficio è contraddittoria o manca del tutto o è comunque insufficiente a giustificare la pretesa impositiva.

Tale Sentenza conferma dapprima, quanto già fatto proprio dalla Cassazione, ovvero che è onere dell’Agenzia delle Entrate provare in base ad elementi oggettivi la consapevolezza del cessionario di partecipare ad una frode, senza però che da esso si pretendano verifiche eccessive e complesse che solo l’Amministrazione Finanziaria può fare.

Una volta fornita tale prova sarà onere del contribuente dimostrare di aver usato la diligenza adeguata nel porre in essere le operazioni contestate.

La CGUE, afferma, però, che non tutti gli indizi su cui si fonda la pretesa erariale hanno la stessa valenza, come ad esempio il fatto che gli operatori tra cui intervengono le operazioni si conoscano, non basta per dimostrare la partecipazione del cessionario alla presunta frode.

Alcune immagini usate in questo articolo sono state prese da www.create.vista.com

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