Con la Sentenza n. 36491/19 depositata il 28 agosto 2019, la Corte di Cassazione Penale ha respinto il ricorso di un contribuente riconosciuto nei gradi precedenti responsabile del reato di omessa dichiarazione ai sensi dell’art.5 D.Lgs. n .74/2000.
Per il contribuente in questione, la colpevolezza per tale reato non poteva essere affermata in quanto gli atti ispettivi e di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate erano stati dichiarati nulli nell’ambito del processo tributario.
Ma per la Cassazione, la condanna non si era basata unicamente sull’accertamento tributario e sugli atti ispettivi richiamati, ma anche sui documenti contabili presenti in atti nel processo penale.
Sempre la Corte, richiamando anche le precedenti sentenze n. 35294/2016 e n.11570/2018 ha affermato che, nonostante la nullità dell’avviso di accertamento, lo stesso può essere comunque utilizzato ai fini penali oltre agli atti su cui esso si fonda, in quanto le irregolarità dell’avviso di accertamento riguardano esclusivamente il rapporto giuridico tributario e non impediscono di utilizzare le informazioni racchiuse in esso nel processo penale.
In conformità alle richiamate sentenze, si afferma che l’avviso di accertamento è l’atto con cui l’Erario richiede l’adempimento dell’obbligazione tributaria e che per essere considerato valido deve possedere specifici requisiti, in assenza dei quali la pretesa dell’Ufficio viene paralizzata.
Nel processo penale, invece, non assume tale veste, ma quella di documento contenente informazioni, strumentale all’esercizio dell’azione da parte del pubblico ministero, nei modi e nelle forme previste dal codice di rito.
Infine, la Corte afferma che il giudice, in materia di reati tributari, può utilizzare sia i verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza per determinare l’imposta evasa, attraverso percentuali di ricarico basate sui dati di mercato, o anche ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile effettuato dall’Ufficio Finanziario in caso di irregolare tenuta delle scritture contabili da parte del contribuente.
Tale possibilità viene, però, riconosciuta a condizione che il giudice non richiami soltanto tale accertamento induttivo ed i dati in esso contenuti, ma assolva l’onere di un’autonoma e specifica valutazione degli stessi, anche sulla base di ulteriori elementi acquisiti. Altre due Sentenze della Cassazione, n.47832 e n.47837, depositate il 25 novembre 2019 hanno ribadito il principio di autonomia del processo penale rispetto a quello amministrativo tributario, come sancito dall’art. 20 del D.Lgs. n.74/2000 che prevede l’indipendenza e la non interferenza reciproca tra i due procedimenti, ovvero il cosiddetto doppio binario.
In conseguenza di ciò, il processo tributario non può essere sospeso in pendenza del procedimento penale relativo agli stessi fatti ed il principio è applicabile, oltre che ai procedimenti ed alle sentenze, anche ai poteri di indagine o alla predisposizione degli atti impositivi da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Solo nel caso la sentenza penale sia stata emessa a seguito di dibattimento e l’Amministrazione Finanziaria si sia costituita parte civile nel processo penale, la stessa è vincolante nel processo tributario, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. (e sempre che non vi siano limitazioni nella legge civile alla prova della posizione soggettiva controversa, come nel caso del processo tributario che non ammette il giuramento o la prova testimoniale).
Nello specifico, la Sentenza n.47837 stabilisce che l’autonomia vale anche per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa ai fini del sequestro preventivo e della confisca per il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, ben potendo il giudice penale, con adeguata motivazione e privilegiando i dati reali rispetto ai criteri formali, quantificare il profitto oggetto del reato diversamente da quanto concordato in sede di eventuali accordi conciliativi tra contribuente e fisco, proprio per evitare la pregiudiziale tributaria non più prevista dall’ordinamento giuridico, a favore del doppio binario.
E con la Sentenza n.47832 tale principio viene ribadito nel caso di impugnazione di una misura cautelare personale a seguito del reato di indebita compensazione di crediti tributari ex art. 10-quater D.Lgs. n.74/2000, anche in assenza di accertamenti tributari definitivi che comprovassero la falsità dei crediti stessi.
Per la Corte, infatti, per contestare tale reato in sede penale non sarebbe necessario attendere tale accertamento, soprattutto nel caso in esame, in cui l’ammontare elevato dei crediti portati in compensazione a fronte di un volume d’affari molto modesto, doveva essere considerato già un chiaro indice della fittizietà e far sorgere la consapevolezza dell’inesistenza dei crediti stessi in capo al soggetto indagato.
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