La Corte di Cassazione si è occupata sempre più di frequente di dirimere controversie aventi ad oggetto fatture per operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente) ed il conseguente reato di dichiarazione fraudolenta ex art.2 D.Lgs. n.74/2000.
Con la Sentenza n.36359 depositata il 23 agosto 2019 ha ribadito quanto previsto dall’art.1 del D.Lgs. n.74/2000, ovvero che per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si devono intendere tutti quelli aventi rilievo probatorio in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che riportano imponibile o iva in misura superiore a quella reale (“oggettivamente inesistenti”) o che si riferiscono ad operazioni poste in essere da soggetti diversi rispetto a quelli effettivi (“soggettivamente inesistenti”).
In base a ciò, la Corte confermava la condanna per tale reato nel caso in esame in cui le prestazioni erano state eseguite da un’impresa diversa da quella emittente le fatture, risultata priva di qualsiasi struttura aziendale idonea.
Chi effettua la prestazione, infatti, deve addebitare l’iva a titolo di rivalsa al committente che conseguentemente potrà portarla in detrazione; in mancanza, però, della prova dell’effettivo versamento dell’iva potrebbe venir meno il diritto alla detrazione della stessa. Inoltre, la qualità dell’effettivo soggetto che effettua la prestazione, può comportare anche una diversa misura dell’aliquota e dell’imposta che eventualmente potrà essere detratta.
Infine, la Sentenza in esame afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, anche nel caso in cui siano ignoti i veri soggetti e non soltanto quando è incerta la corrispondenza tra costi documentati e reali, non è necessario comprovare l’eventuale collusione tra chi emette e chi utilizza la fattura, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la quale può contestare la detrazione anche dimostrando in via indiziaria che la prestazione è stata resa effettivamente da altri, con onere della prova a carico dell’utilizzatore di non essere stato effettivamente a conoscenza della frode posta in essere dal venditore.
La successiva Sentenza della Cassazione n.41124 depositata in data 8 ottobre 2019 ha riguardato il concorso di persone nei casi di emissione ed utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art.9 D.Lgs. n.74/2000.
Tale norma deroga all’art.110 c.p. escludendo che l’emittente di fatture false, punibile ex art.8 del medesimo decreto, possa essere ritenuto responsabile anche del reato di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art.2, o viceversa; al fine di evitare che l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti da parte del destinatario, possa integrare anche il concorso nell’emissione delle stesse o che il solo fatto dell’emissione possa integrare il concorso nell’utilizzazione da parte del destinatario, sottoponendo due volte a sanzioni penali lo stesso soggetto per lo stesso reato, in violazione del divieto di “bis in idem”.
Ma tale principio va valutato caso per caso ed in quello oggetto della presente sentenza, l’utilizzatore non aveva mai inserito nella propria dichiarazione le fatture per operazioni inesistenti, non integrando, quindi, il reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n.74/2000.
In base a ciò la Corte ha ritenuto non operante il concorso tra le due fattispecie, ritenendo, invece, sussistente la partecipazione del destinatario all’emissione dei documenti falsi anche sulla base dei relativi pagamenti degli stessi e nonostante il mancato utilizzo successivo in dichiarazione; altrimenti verrebbe considerato irrilevante penalmente un comportamento comunque teso all’emissione di documentazione falsa e che sicuramente si è perfezionato in concorso tra emittente e destinatario della stessa, una volta comprovato il dolo specifico di evasione.
Infine, la Cassazione, anche con la Sentenza n.50362 depositata lo scorso 1 dicembre 2019, ha ribadito che l’inserimento di elementi passivi fittizi in dichiarazione attraverso fatture o altri documenti per operazioni “soggettivamente” inesistenti, rientra nel reato previsto dall’art. 2 D.Lgs. n.74/2000, non distinguendosi al suo interno tra falsità oggettive o soggettive, sia in riferimento alle imposte dirette, sia indirette.
Il caso oggetto della sentenza riguardava il ricorso contro il sequestro preventivo riferito al profitto del reato ex art.2, emesso nei confronti di una società ritenuta una “cartiera”(priva di dipendenti, di uffici commerciali ed amministrativi), la quale emetteva fatture per operazioni anche soggettivamente inesistenti per consentire a terzi di evadere l’Iva e l’Ires, ponendo in essere “frodi carosello”, tese ad abbattere i costi dei prodotti compravenduti.
Mentre per l’Iva, già costante giurisprudenza ha riconosciuto l’esistenza di tale reato anche nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero quando l’operazione viene posta in essere da soggetti diversi rispetto a quelli indicati nelle fatture o negli altri documenti, per le imposte dirette in alcuni casi è stata riconosciuta l’irrilevanza penale, anche se la tesi maggioritaria non ha escluso comunque la riconducibilità di tali comportamenti al reato previsto dall’art.2.
In base a tale tesi, non sarebbero deducibili dal cessionario ai fini delle imposte dirette i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti se relativi a beni e servizi utilizzati per il compimento di delitti non colposi, in quanto non inerenti l’attività d’impresa, ma destinati a finalità diverse.
Soltanto nel caso in cui la falsità dei documenti riguardasse la mera identità dell’emittente, ma la sostanza dell’operazione fosse reale e non fittizia, il cessionario potrebbe dedurre tali costi, in quanto non si determinerebbe un’Ires minore di quella dovuta, sempre che non vi sia la consapevolezza di partecipare ad un’evasione posta in essere da altri.
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